30 anni di Mobile Fighter G Gundam: la rivoluzione di un franchise

Sicuramente avrete sentito parlare negli anni del cosiddetto “salto dello squalo”, una frase entrata addirittura nell’immaginario popolare e utilizzata spesso e volentieri n diversi contesti per parlare di cinema e serialità.

Il “saltare lo squalo” è una locuzione nata soprattutto nell’ambito televisivo grazie alla serie TV di Happy Days, andata in onda su ABC dal 1977 al 1984. Nello specifico mi riferisco a uno degli episodi della quinta stagione dello show, quando il buon  Arthur Fonzarelli (Fonzie per gli amici), decide di cimentarsi nello sci nautico indossando un costume da bagno e la sua iconica giacca di pelle per saltare sopra uno squalo tigre.

Si è trattato di un momento storico per la serie TV, diventata talmente iconografica e pop tra gli spettatori americani che gli autori decisero di spingersi oltre, puntando a situazioni come “il salto dello squalo” che andavano a rompere tutta una serie di regole che lo show si era imposto fino a quel momento, nel tentativo rischioso di rinnovarsi, riaccentrare su di sé le attenzioni del pubblico o semplicemente, attirare nuovi spettatori più allineati a certe dinamiche inedite proposte dagli autori. Negli anni il Salto dello squalo ha assunto forme sempre più ampie, al punto da diventare una locuzione comune quando si parla di serie o film.

Perché tutto questo preambolo su Happy Days in un blog che vuole parlare di Gundam? Perché anche il franchise di Bandai e Sunrise ha avuto il suo momento “salto dello squalo” nel 1994 e si chiama Mobile Fighter G Gundam (Kidō butoden G Gundam).

Tutto è iniziato con il Future Century

Anno 60 del Future Century.

In un lontano futuro le élite terrestri vivono in colonie orbitanti corrispondenti alle vecchie nazioni, mentre il pianeta, devastato ed inquinato, è popolato da masse di reietti abbandonate a sé stesse. Per evitare nuove guerre rovinose, ogni quattro anni si svolge sulla Terra un torneo tra le varie colonie, ognuna delle quali è rappresentata da un robot chiamato Gundam. Alla fine dei combattimenti il Gundam che avrà sconfitto tutti gli altri darà alla sua nazione il diritto di governare.

Diretta da Yasuhiro Imagawa e scritta da Fuyunori Gobu. Mobile Fighter G Gundam ha segnato l’inizio di una nuova era per il franchise del robottone bianco. Concepita per celebrare il 15° anniversario del franchise, si trattava della prima produzione animata ad abbandonare il canovaccio dell’Universal Century introdotto con Mobile Suit Gundam, in favore di un nuovo universo narrativo che nelle idee di Bandai sarebbe stato un buon banco di prova per portare il brand alle nuove generazioni di giovanissimi.

Quello di G Gundam è stato un progetto veramente sovversivo e rischioso, che andava a scardinare tutta una serie di dinamiche che l’Universal Century si era posto. In un periodo storico dove il Dragon Ball del buon Akira Toriyama stava esplodendo come non mai in Giappone e all’estero, Bandai puntò proprio al cuore di quei giovani spettatori ammaliati dal genere dei battle shonen, lavorando essenzialmente in sottrazione.

A differenza delle opere precedenti che erano in gran parte incentrate su questioni militari e politiche,  il G Gundam di Imagawa imbastisce una nuova timeline, il Future Century, dove i problemi del pianeta si risolvono attraverso il Gundam Fight, un evento globale di arti marziali in cui i piloti di ogni paese salgono a bordo dei loro Gundam per aggiudicarsi la vittoria.

Per la prima volta Bandai calava il franchise nelle tendenze “super robot” di quei periodo, andando a creare essenzialmente un Gurren Lagann ante litteram, dove gli eccessi sono una delle maggiori virtù dell’opera dopo il suo grandioso doppiaggio nipponico, fatto di personaggi che urlano a squarciagola le loro tecniche iconiche.

G Gundam si spoglia quasi del tutto della serietà in favore di un divertimento genuino, con un protagonista, Domon Kasshu che incarna lo spirito di un personaggio selvaggio, romantico e appassionato.

L’opera più inclusiva di Gundam

Mobile Fighter G Gundam ha inoltre un merito altrettanto importante, che per l’epoca era un traguardo di cui non se ne parla mai abbastanza: è una delle produzioni animate nipponiche più inclusive del periodo proprio grazie al contesto del torneo di arti marziali globale. L’escamotage permette infatti al protagonista di interfacciarsi con i popoli e le culture di ogni paese,  espresse anche dai nomi e dai peculiari design dei Gundam, che tra le altre cose hanno visto un bel gruppetto di artisti coinvolti: dal leggendario Kunio Ōkawara che aveva lavorato anche a Mobile Suit Gundam, passando per Hajime Katoki, Kimitoshi Yamane e Hirotoshi Sano.

L’intento di Bandai nel fare presa anche sul pubblico internazionale al di fuori di quello giapponese era piuttosto evidente. Scelte mirate che si intuiscono anche nel sistema di controllo dei Gundam, che abbandona i cockpit tradizionali in favore di un sistema che si interfaccia con i movimenti del pilota, da lì anche la scelta di puntare sul titolo “Mobile Fighter”.

Per Bandai questa serie è stata la consacrazione di Gundam a vero franchise, un tentativo che in realtà era stato già ricercato in più occasioni nel panorama dell’editoria cartacea, con manga ambientati in versioni alternative dell’Universal Century che andavano a reinventarne certe situazioni in maniera sperimentale. Tra queste mi sento di citare soprattutto Mobile Suit Gundam Side Story: Hidden Shadow G, un racconto alternativo pubblicato da Bandai nel 1990 che svela l’esistenza di Gundam Ninja che hanno agito “dietro le quinte” nei vari conflitti accaduti durante l’Universal Century. Firmata da Takayuki Yanase, il manga può quasi considerarsi il seme di quello che sarebbe poi stato il progetto Mobile Fighter G Gundam.

Mobile Suit Gundam Side Story: Hidden Shadow G

Come da trazione poi, la serie ha generato tutta una serie di prodotti di contorno, dai gunpla, passando per i videogiochi, inclusa la serie di picchiaduro Gundam Battle Assault per PlayStation.

Che lo si ami o si odi, Mobile Fighter G Gundam rappresenta quel momento di svolta storico per tutto il brand. Quel momento in cui Bandai diventa seriamente consapevole del potenziale di un franchise che può reggersi sulle proprie gambe anche al di fuori dell’Universal Century, dando agli autori la possibilità di rielaborare quelle “regole” per raccontare la loro visione del Gundam originale di Yoshiyuki Tomino.

Dal mio punto di vista si sottovaluta spesso l’importanza storica di Mobile Fighter G Gundam all’interno del franchise. Parliamo di un cult assoluto, una di quelle opere che a differenza di altre uscite nello stesso periodo, continua a invecchiare come il buon vino. Si tratta di una produzione capace di rimestare le basi di Mobile Suit Gundam per dar vita a una creatura unica che grida anni ’90 da ogni frame, ma talmente trascinante da renderla appetibile ancora oggi.